E’ già da qualche tempo che mi sto occupando di Personal Branding e il mio ultimo passo è stato quello di leggermi tutto d’un fiato il libro “Personal Branding” dei bravissimi ed impegnatissimi Luigi Centenaro e Tommaso Sorchiotti, edito da Hoepli.
Senza farne una recensione, il libro in questione riporta ogni modalità per poter distinguere la propria persona online (e offline) attraverso gli strumenti che quotidianamento usiamo e che già conosciamo; piccoli accorgimenti, spunti e riflessioni su come essere efficaci, indipendenti e migliorare il proprio percorso di carriera.
E’ proprio su quest’ultimo punto che vorrei focalizzare l’attenzione di questo post.
Uno dei punti fondamentali da dover affrontare quando si sviluppa il proprio brand personale è quello di chiedersi se tale approccio può favorire o meno la propria posizione in ambito aziendale e in generale la propria professionalità. Ci si è dibattuti, e lo si fa’ tutt’ora, su questo delicato argomento ma l’idea è comunque quella che il Personal Branding crea valore senza dubbio alla persona che lo costruisce ma crea valore, di riflesso e in modo “gratuito”, all’azienda in cui tale individuo è collocato.
Questo per quattro ragioni fondamentali :
Costruire il proprio personal brand significa studio, ricerca, dedizione
Il “marchio” che si vuole generare intorno a sè stessi ha bisogno di molte cure che possono essere intraprese nel proprio tempo libero (nel weekend, nella pausa pranzo, dopo cena); deve sostanzialmente essere una passione alla stessa stregua del suonare in una band, del realizzare modellini aerei o del cucinare piatti prelibati.
Costruire il proprio personal brand significa crescere
Il costante approccio “scientifico” e rigoroso nella realizzazione del proprio “marchio” porta necessariamente ad un valore aggiunto alla persona che si trasformerà in maggiore sicurezza, maggiore determinazione, maggiore informazione e maggiore serietà.
Costruire il proprio personal brand significa “umanizzare”
Il punto centrale nel realizzare il “proprio marchio” risiede nel termine “proprio” che focalizza la sua finalità nel renderlo il più umano possibile, quindi non con uno sguardo dall’alto verso il basso (come può essere un Corporate Branding poco intelligente) ma dal basso verso l’alto (come quello, perchè no, di un possibile cliente); decentra quindi verso un approccio più famigliare, più semplice e più immediato, dopotutto le aziende sono fatte di esseri umani. A riguardo vi rimando ad un articolo dell’istrionico Shel Israel, consulente di aziende e start-up in ambito social.
Costruire il proprio personal brand significa distinguersi
In base a quanto detto fin’ora si delinea quindi una figura diversa di sè stessi che permette di distinguersi dagli altri addetti ai lavori che non eseguono PB in modo potente e deciso; ai massimi livelli si può arrivare ad essere influenti nel proprio ambito, conosciuti, importanti e quindi anche ricercati, concretizzando gli sforzi attuati.
Immaginate ora una azienda, una società, un’agency italiana costituita da tutti i suoi componenti che eseguono il loro personal branding quotidianamente, per passione, per informazione, per crescita professionale.
Immaginate che questa metta le sue basi sull’individuo e le sue specializzazioni e non sulle mansioni assegnate.
Immaginate che realizzi il suo bussines non sui servizi offerti, ma sulle competenze specifiche.
Immaginate che la pubblicità mostri i volti di chi c’è dietro e non l’insegna fuori dalla porta.
Immaginate che dia spazio alle idee del singolo, ai suoi interessi, alle sue peculiarità.
Si, immaginatela …
Pensateci ancora un po’ …
Sforzatevi dai …
Ok, come non detto